CENTRALE A CARBONE: PERCORSO IN SALITA
La Corte dei Conti rischia di incidere pesantemente sulla realizzazione della centrale a carbone di Saline. È sufficiente dare un’occhiata alle carte per rendersi conto che l’iter per la costruzione dell’impianto, alla luce delle recenti valutazioni dell’ente contabile, si fa sempre più complesso e ingarbugliato.
Ma andiamo con ordine e proviamo a fare il punto della situazione, ricostruendo le tappe della vicenda sino ai giorni nostri. Non si può non partire dal 15 giugno dell’anno scorso, data in cui il premier Monti firma il decreto che sancisce la compatibilità ambientale della centrale e concede l’autorizzazione all’esercizio. Prima ancora della pubblicazione del suddetto decreto sulla Gazzetta Ufficiale, la Presidenza del Consiglio lo trasmette alla Corte dei Conti per il parere (una sorta di verifica sulla regolarità delle procedure adottate) e la registrazione. Il 19 settembre l’ente contabile restituisce il Dpcm non registrato, con una valutazione di merito non positiva che, di fatto, smonta la validità dell’atto. “Il provvedimento – scrive la Corte – si restituisce non registrato in quanto privo della seguente documentazione ritenuta indispensabile: il parere negativo espresso dalla Regione Calabria nella nota del 18 agosto 2008 e gli atti dell’istruttoria del Consiglio dei Ministri tenutasi il 5 maggio 2011”. L’1 ottobre la Presidenza risponde dicendo di aver già fornito la documentazione richiestale.
Ma non è tutto. La Corte chiede ulteriori chiarimenti sull’assoggettabilità del provvedimento governativo al suo controllo preventivo, sulla mancata intesa con la Regione, sull’insuperabilità del parere negativo espresso dal ministero dei Beni culturali in sede Via e, soprattutto, sul fatto che il parere della commissione Via sia stato espresso contestualmente per la centrale e per l’elettrodotto “nonostante – afferma la Corte – la normativa di riferimento per le due fattispecie sia diversa”. Ergo, fa chiaramente intendere la Corte, l’elettrodotto necessitava di parere Via a parte.
Ma i rilievi mossi dalla Corte non impediscono alla Sei, la società proponente, di pubblicare ugualmente il decreto sulla Gazzetta Ufficiale n. 138 del 24 novembre 2013.
Nel frattempo avverso il Dpcm propongono ricorso al Tar Lazio la Regione, il comune di Montebello, le associazioni ambientaliste e quelle dei produttori dell’Area grecanica. Il 17 gennaio 2013, nel corso della prima udienza per discutere il ricorso delle associazioni dei produttori, l’Avvocatura dello Stato non fa alcun cenno dell’avvenuta pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, ma, di contro, chiede l’inammissibilità del ricorso proprio perché il Dpcm non è stato registrato dalla Corte “e non è da considerarsi valido ed efficace e, come tale, lesivo della situazione giuridica soggettiva dei ricorrenti”. Il tutto viene eccepito dall’Avvocatura su “imbeccata” del vice segretario generale della Presidenza del Consiglio.
Cosa accadrà adesso? Difficile dirlo, anche se, con tali premesse, la strada che porta alla realizzazione dell’impianto appare tutt’altro che in discesa. L’unica cosa certa è che, sul piano giudiziario, la battaglia proseguirà a colpi di carte bollate, mentre sul piano politico sarà il nuovo Governo ad occuparsi di questa patata bollente.
Qualora la procedura al Tar dovesse sbloccarsi (ma ad oggi la cosa pare alquanto improbabile visto il veto posto dalla Corte dei Conti) l’iter autorizzativo proseguirà con una nuova tappa, ovvero la convocazione della conferenza di servizi presso il ministero dello Sviluppo economico.
Federico Strati
tratto dalla “Gazzetta del Sud”