RESTI UMANI NELLE CASSETTE DA FRUTTA: UNA VERGOGNA
Resti umani nelle cassette da frutta, come fossero avanzi di animali o addirittura spazzatura. Nonostante abbiano dato lunga discendenza, oggi, sembrano orfani, abbandonati come i figli di nessuno. Là buttati dentro quelle cassette, rivestite con la carta dei sacchi di cemento, chiedono un gesto di pura umanità.
A loro nessuna dignità è stata riservata nonostante quelle ossa siano i resti di chi è stato un uomo, una donna o un bambino. Da vivi, quei resti hanno portato un corpo che ha sudato, lavorato e costruito un pezzo di storia in tempi difficili. Storia lasciata ai posteri in eredità.
Loro, genitori di genitori, figli e antenati di molti, giacciono in condizioni miserabili mentre attendono, da anni, degna sepoltura nel luogo di sempre a loro molto caro: la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, oggi rudere prossimo ad essere cancellato dal tempo.
Certo, cinquanta anni fa, raccontano gli anziani del posto, la camera tombale era piena di ossa. “I resti, dicono, arrivavano quasi fino al tetto tanto che appena ci si affacciava già si potevano osservare mentre adesso bisogna sporgersi abbastanza. Chissà quanti si sono persi e quanti sono stati portati via dagli animali”.
Un tempo i sotterranei della Chiesa erano ben conservati e lì i morti riposavano in pace. Poi iniziarono lavori. Strade costruite al limite, crolli della struttura ed abbandono hanno riportano alla luce i resti di chi lì giaceva dai secoli passati. Forse dal 1600 o dal 1700, sicuramente prima dell’editto di Napoleone.
Poi, prosegue un altro anziano, essendo la camera aperta, “i cani entravano al suo interno e purtroppo non era raro vedere là vicino ossa dei morti, così come qualche teschio seminato lungo la strada”.
Uno scenario macabro che porta qualche volontario a collocare i resti dentro le cassette da frutta foderandole con la carta dei sacchi di cemento. Il dato raccapricciante è anche un altro: la quantità di resti umani non è quella di prima. Oggi sono molto di meno. E la gente si chiede che fine abbiano fatto!
Come ricorda lo storico Luigi Sclapari, sotto l’antica Chiesa del 1500, dove si celebrava in rito greco-bizantino, era presente “la camera tombale con volte a botte per cadaveri a sedere in cellette antropomorfe”. Questo perché, spiega il deputato di Storia Patria, prima dell’editto napoleonico del 1807, i cadaveri venivano sepolti sotto gli impiantiti delle Chiese.
Proprio lì, ed ecco la caratteristica, venivano posti seduti, in delle piccole nicchie antropomorfe dove oggi è possibile osservare una Croce tracciata sulla calce oppure una data.
Di questa Chiesa, prosegue il professore, si ha la prima traccia scritta nel lontano 27 luglio del 1595 quando Mons. Annibale d’Afflitto, vescovo della Diocesi, fece la sua visita pastorale.
Si trattava di una Chiesa abbastanza grande, così come quella di S. Antonio, anche questa cancellata dal tempo. Ricchezze culturali che andrebbero valorizzate mentre oggi, conclude rammaricato lo storico, pochi conoscono persino l’esistenza.
E della Chiesa di Santa Maria delle Grazie persino l’ultimo muro piange. Caduto a terra il 3 aprile del 2009 è lì agonizzante mentre spera che la spugna del tempo non cancelli la sua traccia.
È intero nonostante il volo di oltre tre quattro fatto. Guarda il torrente Camatore per affidare al fluire delle acque e al turbolento rumore il suo grido di dolore. Anni di abbandono e di promesse senza mai nessuna azione. È come se il passato rappresentasse un peso da cancellare!
E se il muro grida, le ossa dentro quelle misere cassette urlano e chiamano le istituzioni e ogni cittadino a rispondere.
Gli appelli ufficiali per questo scempio sono iniziati sin dall’anno 2009 attraverso articoli di giornale e lettere scritte inviate al Comune e tutte le amministrazioni passate si sono dimostrate sensibili al problema. Ovviamente a parole considerato il risultato presente.
Spoglie indecorosamente lasciate lì, come orfani alla ricerca di un padre accanto alle ortiche cresciute all’interno e alle erbacce che sbarrano il percorso.
E se le istituzioni non hanno fatto nulla qualche cittadino vuole presentare un gesto di concreto: donare una teca in vetro per una degna ed umana sepoltura di quella gente. Sì, a quella gente, perché di uomini, donne e bambini si tratta.
A loro mai è stato portato un fiore. Solo il rovo che ormai da tempo ha invaso quello spazio regala i suoi profumi nel mese in cui si aprono i petali. Poi basta. Tutto è abbandono e desolazione. Tutto è assurdo degrado. Le nuove generazioni neppure conoscono questa storia. La loro storia!
Ed ecco come i beni vengono sotterrati o forse cancellati. Bastano erbacce, arbusti e un ipotetico incendio. In tal modo le sterpaglie, caricandosi di fiamme, in poco tempo, brucerebbero pure quei resti. Ma questo, forse, interessa solo a pochi. Dopo la scena sarebbe sempre la stessa: rammarico generale, indignazione e pubblici commenti.
È come se la storia venisse scansata un passo più in là, quasi a voler regalare un gratuito colpo di spugna nel punto di ingombro. Se poi si cancella forse è meglio! Però, quando serve, tutti sono pronti a parlare di “importanza storica”, di “patrimonio culturale” di “ricchezze dell’entroterra” e di “beni monumentali di significativo pregio storico-architettonico”ed ancora di “patrimonio che deve essere valorizzato”.
Belle parole distanti dai fatti che parlano un’altra lingua. Per questo quei resti chiedono aiuto. Il loro silenzio parla in modo eloquente e chiede solo un gesto di umanità.
Richieste legittime perché la vita continua anche dopo la morte. Le spoglie silenziose, ricordano ai presenti i loro passi lungo le vie del paese quando tardi, al ritorno dai campi, con le mani ancora sporche di terra e di sangue, portavano gli asini nelle stalle. La loro presenza cerca di far ricordare ai vivi i canti intonati durante le sere d’estate o in aperta campagna, il rosario pregato con tutta la famiglia accanto al braciere e le albe presto incontrate per non fare tardi in campagna dove tutto, nonostante la tristezza di quei tempi, era una festa.
Quelle ossa presentano ancora oggi, in modo simbolico, il loro viso carico di rughe e consumato dal sole e la loro prematura dipartita a causa di un semplice e sconosciuto malore.
È lì, tra quei resti, ci sono anche bambini passati ad altra vita per assenza di cure. Stretti al petto della mamma, così come un tempo si usava fare, venivano accompagnati dai loro cari fin dentro la Chiesa per poi, dopo la Santa Messa, essere sepolti in quella camera tombale dedicata ai più piccoli. Quei resti narrano storie di vita che, ancora oggi, deve essere raccontata.
L’attuale sindaco Maria Foti, resa edotta del problema, ha manifestato il suo rammarico precisando che solo da poco ricopre la carica di primo cittadino e che farà di tutto per dare una degna sepoltura. “Ritengo, ha precisato, che sia un atto dovuto. Ho molto rispetto nei riguardi dei defunti e sono certa che ce la faremo a modificare questo stato”. È rammaricata la Foti quando ascolta con attenzione la sintesi di questo lungo e accorato racconto. Per tale motivo si dice pronta a cercare una adeguata soluzione perché “le loro anime meritano il nostro rispetto e noi responsabilmente dobbiamo cercare di fare il possibile per restituire dignità a questi resti”.
La Foti si è detta disponibile al dialogo con i cittadini e desiderosa, con loro, di fare un gesto concreto perché quel luogo cambi e anche a quei defunti si possa donare un fiore.
E nel passato, sempre al Comune di Montebello Jonico, era stato suggerito un progetto di riqualificazione dell’area perché questa storia restasse viva tra la gente e le nuove generazioni.
Un percorso culturale lungo la via Santa Maria, il recupero dei resti della Chiesa, incluso il riposizionamento dell’ultimo muro, una ricostruzione, con materiali del posto, basata sui resti dell’antica pianta ed ancora il consolidamento della camera tombale inclusa la realizzazione di pochi gradini capaci di portare i visitatori fino al suo ingresso.
Poi l’umana collocazione dei resti dentro un’urna di vetro foderata di velluto e la sintesi storica da esporre all’ingresso perché attraverso la conoscenza questa Chiesa e questo luogo possano continuare a vivere.
Prima di tutto però, la giusta collocazione dei resti perché la dignità umana non finisce dopo l’ultimo respiro.
Vincenzo Malacrinò
pubblicato sullo speciale di Gazzetta del Sud