BOCCIATO IL PROGETTO DI RILANCIO DI MONTEBELLO
Bocciato a giugno, senza possibilità di riparare a settembre, il progetto Agàpi. In greco significa “amore”, acronimo di Area Grecanica Advanced Platform for Innovation.
Questo, con i fondi del Pnrr, avrebbe dovuto cambiare il volto dell’Officina Grandi Riparazioni di Montebello Jonico per fare di quei resti e di quel degrado un fiore all’occhiello attraverso un innovativo progetto che, a quanto pare, non ha convinto la commissione.
“Bocciato” Montebello Jonico che aveva sposato il progetto e “bocciata” l’Università che ha “partorito” l’idea, finalizzata allo sviluppo del territorio, attraverso un complesso ed elaborato progetto redatto dalla Mediterranea di Reggio Calabria.
Ogni tanto, anche al mondo accademico tocca prendere meno di 18! Il punteggio ottenuto, infatti, non è stato sufficiente per superare la selezione nonostante diversi ricercatori hanno lavorato sin dal 2019.
Il progetto di riqualificazione doveva “sostituire” i resti della mortificante ex Officina Grandi Riparazioni e dare nuova linfa a tutta l’area.
Ne ha parlato anche “Il sole 24 ore” il 7 marzo con un titolo ad effetto: “un distretto dell’innovazione sulle rovine della ex Officine Fs” così come altri giornali. Doveva nascere una realtà strategica per lo sviluppo della cooperazione tra Università Mediterranea ed Enti di Ricerca, aziende nazionali ed internazionali, incluse le imprese del territorio.
Si sarebbero dovute sviluppare le nuove tecnologie a supporto della filiera agroalimentare, dell’energia, del rischio sismico ed idrogeologico inclusa la medicina digitale e molto altro con l’obiettivo di trasformare una parte del sito in un centro di eccellenza unico nel suo genere che avrebbe dato un nuovo volto allo scempio lasciato dalle rovine della ex OGR.
Si doveva recuperare quell’area schiaffeggiata per anni nel peggiore dei modi per consentire la realizzazione di un ecosistema per l’innovazione, il più grande del Mezzogiorno tale da generare occupazione e sviluppo.
Ma questi buoni propositi non sono bastati. Ed ecco arrivata la “bocciatura” durante la seconda selezione. Su ventisette ecosistemi finanziati al Sud solo due sono calabresi e tra questi non c’è stato spazio per quello di Montebello Jonico.
Il treno del Pnrr carico di grandi opportunità, non sosta alla fermata dell’Officina Grandi Riparazioni, fischia e scappa; corre veloce come se quel luogo avesse la peste, deridendo, ancora una volta, la martoriata terra dell’estremo Sud.
Dopo il negativo risultato il sindaco di Montebello Tina Foti ha convocato un consiglio aperto a Saline chiedendo sostegno a tutti gli altri primi cittadini dell’area grecanica e non solo.
Sono arrivati, certo. Erano presenti e con tanto di fascia ma tranne uno, nessuno si è alzato per dare un fattivo contributo. Niente idee e niente proposte concrete dal mondo politico. È come se la semplice presenza bastasse per risolvere ogni problema. Forse meditavano in quella piazza vuota dove erano presenti circa venti cittadini. Segno di quanto la gente si sia allontanata dalla politica.
Intanto tra silenzi e proclami i 37 ettari su cui sono presenti gli “scatoloni” di cemento, rappresentati dai diversi padiglioni dell’ OGR, rimangono lì fermi a far compagnia al vento chissà per quanti anni ancora mentre, tra una doglia politica e l’altra, verranno avanzati fantomatici progetti.
Un “treno” è passato accelerando a dismisura senza prevedere mezza sosta nell’area in cui essi venivano riparati.
Un impianto, quello delle Officine, figlio degli anni settanta e fratello di faraonici progetti previsti per l’industrializzazione della Calabria.
Gemello della Ex Liquichimica e del Porto, ha fatto la stessa fine: proclami, apertura e chiusura sono stati un tutt’uno. Contentini dati alla Calabria e ai Calabresi come fossero cittadini di serie “B” a cui tutto si può offrire in nome del loro “tanto bisogno”.
E proprio in forza di ciò si possono somministrare non solo avanzi dei “nobili e succulenti piatti” ma addirittura offendere la dignità dell’uomo nella parte più intima dell’io.
Una vergogna! Una vergogna passata e tutt’ora presente incapace di generare vera indignazione tra la gente e i politici sempre pronti ad essere servili nei riguardi dell’alta politica nonostante tutto.
Vige la “rassegnazione” mista a rabbia da parte della gente, sempre disposta a sperare che qualcosa cambi.
Nel 1976 iniziano i lavori. Scavi, prefabbricati, mezzi avanti e indietro. Saline diventa una sorta di “metropoli”. C’è chi costruisce nuove case per affittarle ai dipendenti. Altri lasciano il ferro fuori dai pilastri per la realizzazione del secondo e terzo piano. Tutti vedo affari di ogni genere.
I sogni corrono veloci nella mente della gente al pari delle raccomandazioni per entrare in quella straordinaria struttura.
I politici prendono impegni ed iniziano ad illudere molti cittadini. In tredici anni di lavori hanno avuto tempo, in nome di fantomatiche “sistemazioni”, di raccogliere molti voti sedendo, così, nelle diverse poltrone della politica locale e nazionale.
Nel 1989 si inaugura, in pompa magna, la grande fabbrica e nei corridoi sfilano politici di ogni genere. Ognuno cerca di prendersi meriti e mentre fanno passerella stringono la mano a tutti mentre abbracciano i più cari. Ieri come oggi. Nulla è cambiato.
Dentro la modernissima struttura si riparavano locomotive elettriche che arrivavano da tutte le parti. Ma il sogno dura poco: dopo appena 12 anni l’impianto viene soppresso. Correva l’anno 2001.
La razionalizzazione degli impianti di manutenzione ideata dalle Ferrovie dello Stato prevede la chiusura. Punto e basta. Così la fabbrica viene abbandonata e lungo i corridoi dove camminavano molti dipendenti adesso passeggiano i topi.
Eppure si erano spesi molti soldi. Proprio tanti. Miliardi e miliardi di vecchie lire per costruire un fantasma: esserci prima per scomparire dopo.
“Hanno violentato persino la fiumara Molaro, facendo deviare il suo corso e a nulla è servito questo sacrificio ecologico”. Così si legge in uno dei tanti scritti dello storico Luigi Sclapari, della deputazione di Storia Patria. Un grande progetto finito nel vuoto come tanti altri.
Sembrano scene dello stesso film. Per l’Officina Grandi Riparazioni era stato pensato e realizzato proprio tutto come la costruzione di rampe ferrate su livelli sfalsati, deviatori ed il “famoso” terzo binario che della stazione di Saline portava direttamente fin dentro la struttura. C’era persino la fermata!
Dieci ettari di soli capannoni su ventisette impegnati per le diverse attività. Circa 400.000 metri quadrati in tutto per poi lasciare al territorio solo polvere, delusione e degrado.
Ettari ed ettari di sana terra gettata nel vuoto. Economie reali distrutte. Ma cosa importa: basta fare qualcosa. Come se questa terra valesse meno delle altre. Con il mare ad un passo, la Sicilia davanti e le bellezze dell’area greca alle spalle, dove Pentidattilo fantastico si erge, il altri posti avrebbero realizzato fortune economiche. In Calabria, invece, solo deserto e desolazione.
Intanto dalla ex OGR ogni attrezzatura viene rimossa, staccata, strappata con violenza per essere trasferita altrove. E la storia si ripete al pari di quando, subito dopo l’unità d’Italia, dalle ferriere di Mongiana del Regno di Napoli, venivano strappati gli altiforni ed ogni attrezzatura per trasferirle al nord. Al sud venivano promesse le grandi opere che, a distanza di anni ancora, si aspettano.
Sud impoverito, umiliato e privato della sua originaria ricchezza. Costretto ad abituarsi a chiedere e ad adagiarsi; a sperare che “qualcuno” faccia “qualcosa”.
Un vero e proprio fallimento umano al pari della ex liquichimica, ex porto ed ex Officina Grandi Riparazioni messa all’asta, quest’ultima, per un valore di tre milioni e settecento mila euro.
Asta aperta e offerte zero. Una fabbrica di eccellenza internazionale chiusa di punto in bianco. Chissà perché. Così con l’immagine dell’ultima locomotiva riparata nel 2001 il film finisce. Anzi viene proprio spento il televisore mentre i politici di turno con promesse e commoventi istanze pubbliche cercano di trasferire alla gente la sola vicinanza.
Iniziano i convegni e le conferenze, persino i pubblici comizi, come se parlare nelle piazze avesse il superpotere di cambiare le cose. Alcuni addirittura si emozionano come non mai lasciando cadere qualche lacrima.
Sono loro ad occupare pagine di giornali con soluzioni presunte e pseudo accordi fatti. Pensano a come meglio presentare ai cittadini la migliore soluzione nella speranza di ottenere maggiori consensi.
Però, dopo, al posto di lavorare seriamente con carta e penna presso gli uffici competenti e di ristabilire con determinazione ogni cosa, eccoli continuare a parlare. Solo parlare. Ed i risultati si possono contare.
Quanta illusione e quanta vergogna! Proprio tanta! In altri posti, in mezzo secolo, sono nate opere su opere senza ricorrere all’ “homomartis”. Ma nella terra di Calabria forse si attende proprio questo.
Ad altre realtà italiane pronte per chiudere, lo Stato non solo lo ha impedito ma ha inviato fondi a sostegno. Altrove sì, in Calabria no. Come se qui la gente non soffrisse, non vivesse, non avesse esigenze o peggio ancora fosse disponibile ad essere calpestata.
All’estremo Sud, molto è concesso mentre le ferraglie si ergono a testimonianza di un “fare” ingessato, e di una inerzia stabile.
Nell’estrema Italia è come trovarsi in un’altra Italia dove tutto si può fare. Forse questo basta per bocciare a giugno senza possibilità di riparare a settembre.
Vincenzo Malacrinò
Pubblicato sullo speciale della Gazzetta del Sud