ATLANTE DEI PRODOTTI TIPICI DEI PARCHI ITALIANI
Altri elementi importanti non solo per la produzione ma per il ruolo che rivestono all’interno dell’alimentazione sono il legumi, che se ne trovano per tutti i gusti e di tutti i tipi. Verdolini, marroncini, tendenti al giallo ocra e picchiettati da macchioline rossicce, oppure grandissimi e candidi: sono i “pappaluni”, cioè i fagioli aspromontani, coltivati nelle fasce medio-alte del massiccio all’interno del parco. Qui microclima, terreni e acque sono ideali per la produzione di legumi, non a caso il loro posto nella tradizione gastronomica locale è di primaria importanza. Si seminano a fine aprile e si raccolgono in ottobre. Ma non sono solo questi quelli coltivati, in relazione al clima, nelle fasce costiere e collinari che vanno dalla zona di Melito a quella di Montebello – Fossato, Bagaladi- Bova e tutti i paesi della Jonica e della Tirrenica ve ne sono altre cultivar che adattandosi molto bene al tipo ci clima riescono a dare ottime rese e soprattutto ottima qualità al prodotto ultimo. Molto noti sono i fagioli di S. Eufemia e quelli di Gambarie.
Ed ancora altro prodotto ricco di amido e di riserve nutritive è la patata, tubero che svolge la propria attività di crescita nei terreni freddi dell’Aspromonte ma anche in quelli caldi della fascia marina. Nei diversi tipi di clima e di terreno dà sempre ottime rese e come affermano i produttori ottime qualità. La provincia reggina sembra essere appunto un “serbatoio” di prodotti qualitativi. La patata ha un ruolo fondamentale nell’alimentazione ed anche nella tradizione calabrese. Da non dimenticare il suo utilizzo come prodotto arrostitola forno o alla brace, come accompagnamento alla carne di capretto oppure in zuppa con le cipolle, con le olive nere.. Le varietà coltivate nell’area interna del parco sono la Bellina, rotonda e a pasta bianca, ottima lessa, e la Spunta, dalla forma allungata e dai due diversi tipi di pasta (gialla o bianca) ideale per le fritture o cotta al forno. I pastori aspromontani erano soliti cuocere questa varietà di patata con la buccia sotto la brace. La patata Rosa, dal corpo leggermente allungato e più piccola della Spunta, con la pasta di colore bianco tendente al rosa pallido che si usa nella preparazione di impasti dolci o salati, come gnocchi o crespelle. Con le patate e le cipolle si cucina la licurdia, una zuppa servita nelle fondine su fette di pane casereccio tostate, condita con olio extravergine di oliva e pecorino grattugiato. Anche questo prodotto, presentando le stesse esigenze pedoclimatiche dei fagioli è ben diffuso nelle stesse aree e principalmente nella zona di S. Eufemia e di Gambarie.
Ruolo importante e fondamentale lo riveste il vino, non solo per l’ormai rinomata “pubblicità” naturale che nel corso del tempo si è procurato ma soprattutto per le caratteristiche organolettiche e degustative che lo rendono particolare e da preferire agli altri.
Nel comune di Bianco e in parte in quello di Casignana, in provincia di Reggio Calabria, si produce una gemma enologica: il passito di Greco di Bianco. In quest’area grazie alla componente climatica ed al terreno tipico calcareo – argilloso, i vini risultano essere strutturati, alcolici e di “forte carattere”. Nel comune di Gerace, benché al di fuori dell’area della Doc Greco di Bianco, esiste una piccola nicchia di produzione di Greco passito. Nel mese di settembre, che in questa parte di Calabria è ancora caldissimo, si pongono i grappoli di greco su intrecci di canne, le cannizze appunto, dove sono lasciati ad appassire da 8 a 15 giorni: il colore e il profumo intenso che si sprigiona dai chicchi segnalano il giusto punto di maturazione. La resa è bassa, da un quintale di uve si ricavano in media 30 litri di vino passito che danno il meglio a 3 – 4 anni di invecchiamento. È ottimo bevuto freddo ma anche a temperatura ambiente in accompagnamento a dessert e gelati.
I salumi sono prodotti che danno un tocco di “classe” e di eleganza alla nostra provincia ed al contempo una nota di rusticità e di tradizione, in essi infatti si concentra l’attenzione dei produttori che da secoli tramandano metodi e tecniche produttive e soprattutto i segreti della conservazione. Il Capocollo, di cui in Calabria si produce anche una versione Dop, è un salume fatto con il lombo o con la spalla del suino. Il taglio, del peso di 3, 4 chili, dev’essere contornato da uno strato di grasso che lo mantiene morbido durante la stagionatura. Dopo essere stata disossata, la carne è salata a secco, a giorni alterni, per una settimana, poi bagnata con vino (per il Capocollo a denominazione di origine si usa aceto), massaggiata e pressata. Si aggiungono pepe rosso macinato ed erbe aromatiche (spesso il finocchietto selvatico), si avvolge nel diaframma suino, si lega con spago e canne per stringerlo e si fora il budello per evitare bolle d’aria. All’asciugatura, preceduta da alcuni giorni di affumicatura, segue la stagionatura in locali ben ventilati, a temperatura e umidità costanti. A questo prodotto ovviamente si associa anche il salame, la soppressata ed altri derivati che caratterizzano la nostra Calabria e la nostra provincia da lunghi periodi.
Alla carne ben si associa in questo caso il pesce come lo stoccafisso di Mammola, che anche se non è un prodotto del luogo bene si intona con il freddo clima dell’entroterra e col caldo delle coste.
Lo stoccafisso, si può dire che è “pesce che arriva dove il mare non c’è”, è sempre stato popolare nelle zone interne della Calabria.. Nella zona di Mammola la disponibilità di acqua ricca di calcio, magnesio e ferro, quindi particolarmente adatta ad ammollare lo stocco, favorì la nascita di una fiorente attività di lavorazione del pesce essiccato. Ancora oggi qui ci sono aziende che acquistano, tramite grossisti, stoccafisso importato dalla Norvegia, lo “spugnano” e lo rivendono pronto per essere cucinato in tanti modi: fritto, al forno, in umido, con patate o peperoni, in insalata con peperoncino, aglio e prezzemolo. Assaggi di questi e altri piatti sono distribuiti il 9 agosto nelle stradine del borgo antico di Mammola, in occasione della Sagra dello stocco.
Se lo stocco non è nostra produzione o meglio “prodotto che non ci appartiene” il bergamotto è “proprietà” diretta dei reggini e principalmente di una fascia molto stretta. Citrus bergàmia, questo il nome scientifico del bergamotto è simile ad un’arancia di colore verde giallo di peso variabile la sua coltivazione è stata tentada dappertutto persino nelle isole Comore ma è solo la combinazione degli innumerevoli fattori che si trovano nella nostra terra e nel nostro clima che lo fa ben vegetare qui nella provincia di Reggio e non altrove.La tradizione gastronomica locale è ricca di prodotti realizzati con questo frutto (crema di bergamotto e liquore di bergamotto) e le curiosità legate alla sua storia e al suo utilizzo sono tantissime. Importantissima è l’essenza di bergamotto che per le sue peculiari caratteristiche la rendono ricercatissima perché appunto limitata. Con l’essenza di bergamotto calabrese si producono anche le famose caramelle bergamotes di Nancy, inventate nel 1857 da un confettiere della città lorenese. Sin dal 1830 l’inglese Earl Grey mise in commercio un tè aromatizzato al bergamotto di Calabria, il Twinings Earl Grey Tea, ancora oggi uno dei tè più diffusi e graditi dagli appassionati. Con la buccia, invece, vengono realizzate le caratteristiche tabacchiere di Varapodio. Nel 1999 l’olio essenziale di bergamotto di Reggio Calabria ha ottenuto la Dop.
Di sapore acidulo e dal profumo intenso, il bergamotto è coltivato nella zona di Roccella Jonica e Gioiosa Jonica e nei dintorni di Brancaleone, Bruzzano Zeffirio, Capo Spartivento (Bova e Melito Porto Salvo) e in gran parte delle località del Basso Ionio-Reggino. Questo prodotto si può considerare un vero e proprio “regalo” alla nostra terra che purtroppo manca di stimoli idonei per una corretta utilizzazione tale da far si che possa essere fonte di vero reddito e non di un “arrotondamento”.
Altro elemento essenziale dell’economia agricola reggina è la produzione dell’olio di oliva. Prodotto di qualità in alcune zone e meno in altre soprattutto là dove non si adopera una buona tecnica di raccolta con reti sollevate, abbacchiatura o raccolta tale da evitare lesioni ed immediato trasporto al frantoio. La nostra regione possiede una buona estensione olivicola che ne fa il secondo serbatoio nazionale dopo la Puglia. Raramente, però, questo gran patrimonio è trasformato in olio di qualità. Il più delle volte le aziende praticano un’olivicoltura quasi anacronistica: soprattutto nelle zone più interne persistono ricettacoli di coltura rudimentale mentre, lungo la fascia costiera, un’idea di produzione più votata alla qualità, forte di tecniche lavorative che non rinunciano al progresso tecnologico, comincia a radicarsi nel pensiero (e nei prodotti) di alcuni validi olivicoltori. La lunga lista delle cultivar – autoctone e alloctone – che ben si sono adattate alle condizioni pedoclimatiche calabresi comprende Coratina, Frantoio, Leccino, la Nocellara del Belice e quella Messinese, Carolea, Cassanese, Dolce di Rossano, Roggianella, Grossa di Gerace, Ottobratica e Sinopolese. Da un così eterogeneo gruppo di varietà è chiaro che non possono nascere che oli extravergine dalle caratteristiche organolettiche varie, ora contraddistinti da un intenso profumo fruttato e vegetale, ora rimarcanti piacevoli note gustative di mandorla o nocciola.
E per concludere non mancano i formaggi, le ricotte, la frutta tipica, i dolci ed il miele, le acque minerali come la mangiatorella e la fontedoro, non mancano le mandorle ed altri prodotti tutti particolari e tipici capaci di dare alla nostra provincia un’impronta di originalità e classe tradizionale da un lato e dall’altro un forte slancio verso un’economia che necessita di nuovi input per potersi sollevare nell’intento di dare a ciascuno la possibilità di un reddito vero e proprio da tradurre in termini economici.
Vincenzo Malacrinò