IL PORTO DI MONTEBELLO: UNA VERGOGNA VERA E PROPRIA
Una vergogna nella vergogna e poi in Calabria tutto funziona. Orfano, abbandonato e schiaffeggiato per anni è stato vittima di degrado profondo fino al punto di far registrare nello stesso l’idea di scomparire per sempre.
E così, a poco a poco, si getta nel mare ed annega sotto gli occhi di tutti. Nessuno cerca di salvarlo e mentre scende a picco molti lo guardano indifferenti.
Si tratta del porto di Montebello Jonico ubicato nella frazione di Sant’Elia, costruito agli inizi degli anni 70 con il “famoso” pacchetto Colombo.
Al porto, che doveva essere al servizio della Liquichimica sarebbero dovute arrivare grandi navi cariche di materiale che i treni avrebbero dovuto trasportare fin dentro il grande stabilimento.
Per tutto l’intervento, ex liquichimica, porto ed opera accessorie, sono stati spesi ben 1300 miliardi di vecchie lire.
Ma nel paese delle “tre ex” (ex Liquichimica, ex OGR ed ex porto) tutto è possibile così come saccheggiare una costa per costruire l’imponente opera “matrigna” di molti danni e tutto per servire una fantomatica fabbrica che, sin dall’inizio, si sapeva doveva essere chiusa perché nociva per la salute pubblica. Così è stato. Dopo due mesi è stata vergognosamente chiusa.
E tutto ciò è stato permesso e voluto per assecondare un’ idea bislacca: sprecare soldi pubblici per calmare l’ira dei moti di Reggio.
Così da Roma hanno deciso: una grande opera inquinante per gettare fumo ed anestetico fra i cittadini per poi chiuderla e mandare tutti in cassa integrazione.
Idea geniale questa che ha fatto presto breccia. E così iniziano anche i lavori del porto. Si spendono fiumi di denari, si devasta l’ambiente, si conclude l’opera consapevoli della sua stessa breve durate.
Ed ecco la costruzione del molo di sottoflutto, della calata di riva e del pontile a giorno della darsena del porto ed ancora la costruzione e posa in opera di 24 cassonetti cellulari in cemento armato di grandi dimensioni. Alcuni di 30 metri. Si continua ancora con la costruzione della sovrastruttura e del muro paraonde. Vengono posati 5.500 elementi dolos del peso di circa 15 tonnellate cadauno ed ancora costruiti e posati 2.200 massi artificiali di calcestruzzo con la realizzazione di scanni e scogliere.
Soldi. Tanti soldi spesi. Anzi gettati a mare. Ci vuole coraggio, faccia tosta e molti l’hanno avuta.
Anni di lavoro per avviare ciò che sarebbe rimasto in vita solo pochi mesi. Tanto è durata la storia del porto prima di essere chiuso e trasformato in pezzo da museo.
Ma nel tempo nessuno lo ha mai spolverato. Anzi ignorato e screditato. Allontanato come un appestato e considerato solo nei momenti di campagna elettorale. Poi di nuovo rinnegato e senza alcuna paternità.
Insomma, il figlio di nessuno rappresenta un peso. Nonostante ciò, a turno, i politici gli riservavano mille attenzioni tanto da volerlo adottare a “figlio” ma poi il giorno dopo le elezioni eccolo posato nuovamente in mezzo alla strada, rinnegato il giorno dopo essere saliti a cavallo di questa o di quella amministrazione.
E così il “bambino senza padre” urla e grida per cercare aiuto ma nessuno risponde. I molti padri ormai diventati patrigni preferiscono disconoscerlo. Ed il tempo passa e questa tarantella va avanti per anni e anni.
Così esso decide di scomparire “buttandosi” sott’acqua. Meglio annegare che ascoltare altre promesse. Oggi un pezzo, domani un altro e di quella magnifica opera è rimasto solo lo scheletro.
Proprio così, sono rimaste solo le ossa ma rotte in più punti.
Oggi al suo interno regna sovrana la desolazione, il degrado e l’abbandono totale. Ridotto ad un laghetto perché insabbiato, presenta alla gente cancelli arrugginiti, luci ormai spente e rumore di ferraglie.
Ed era il 12 dicembre del 2003 quando una mareggiata provocò il crollo della parte centrale del molo di sopraflutto, per una lunghezza di circa 100 m.
Così la forza del mare si “divertiva” ad insabbiarlo “rubando” inerti alla costa Jonica ed ostruendo l’imboccatura.
Nonostante gli esperti avrebbero dovuto conoscere il comportamento delle correnti e che la sabbia sarebbe presto ritornata presto al punto di partenza, eccoli pronti a progettare e finanziare opere di dissabbiamento.
La draga dentro il porto e tutti esultavano per il mirabile gesto. Soldi pubblici sprecati che si spendono e si spandono. Ma loro sono felici anche se, alla prossima mareggiata, tutto ritornerà come prima. Anzi peggio.
Ormai i soldi erano stati spesi e tutti profondamente soddisfatti. Anzi i politici di turno sgomitando si facevano riprendere orgogliosi su giornali e televisione.
Ci tenevano ai primi piani e alle dichiarazioni. Avrebbero dovuto presentare il fallimento delle inutili azioni ed invece, in pompa magna ,rassegnavano la quantità dei soldi spesi per il “nobile” gesto. Soldi, nel vero senso della parola, buttati a mare. Ovviamente erano dei cittadini.
Ma d’altro canto il popolo va accontentato. Così quando qualcuno urla e protesta perché il porto è insabbiato al posto di far capire alla gente che tutto è inutile meglio accontentarla per ricevere temporanea stima e ch lo sa, anche riscontri elettorali.
Intanto di quell’opera rimane solo un ammasso di cemento e ferro arrugginito. Il porto è da anni insabbiato e chiuso tanto da formare un lago.
Sul lato destro imperano voragini lunghe diversi metri, larghe e profonde altrettanto. Vuoti che potrebbero costare la vita a qualcuno considerato che l’area portuale viene scelta da molti cittadini per passeggiare.
Voragini aperte là dove ancora oggi sono presenti i binari dei treni. Sotto il manto di cemento è presente il vuoto e ciò che avrebbe dovuto rappresentare forza e resistenza oggi si sgretola come creta sotto gli occhi di tutti.
Poi ai bordi del muraglione sono presenti altre buche pericolose al cui interno ferri arrugginiti, ormai consumati dal tempo popolano ogni spazio.
Il fortilizio del progresso di fatto restituisce l’immagine della sconfitta e del fallimento. Natura violentata che si ribella alla cattiva progettazione fino al punto di distruggere ciò che l’uomo ha prodotto.
Imperanti, i resti del porto, testimoniano la sconfitta della politica e della gente così come il silenzio e le omissioni di quanti avrebbero dovuto fare e non hanno fatto così come lo schiaffo morale dato ad un popolo ritenuto quasi incapace di ribellarsi e di fare. Un popolo obbediente ed allineato all’accettazione di qualunque cosa e persino di ciò che fa male a se stesso.
Emerge l’immagine di gente abituata a promettere e a non a mantenere, ad aspettare che altri facciano senza avere la capacità di fare e così pronti ad accettare la qualunque e persino progetti scellerati. Eppure le capacità non mancano ma stranamente accade il paradosso. Adesso che con il PNRR di fondi c’erano a dismisura nessun progetto è stato presentato. O forse si ma nessuno ha detto niente.
Nel corso del tempo chi ha potuto ha sognato senza mai realizzare il minimo del minimo. Ed ecco che per alcuni politici quell’area doveva diventare un porto turistico, per altri un luogo dove svolgere fiere, per altri ancora il porto che avrebbe unito la Sicilia con la Calabria, per altri addirittura con la Grecia e con l’aeroporto di Reggio Calabria. Infine illustri sognatori pensavano ad un luogo per ospitare microimprese. Ma gli anni son passati e niente si è visto all’orizzonte se non solo promesse su promesse addossate sulle spalle del “trovatello”.
Ma poi arriva giugno 2021 e per questo “figlio di nessuno” ormai invecchiato e ridotto ai minimi termini forse c’è una speranza: un incontro a Palazzo Companella per valutare le prospettive future del porto di Saline Joniche.
L’iniziativa, accolta favorevolmente dal presidente dell’autorità di sistema portuale Mario Mega, è stata voluta dall’assessore regionale alle infrastrutture, Domenica Catalfamo, «al fine di valutare la possibilità che il porto sia incluso fra quelli rientranti nella competenza dell’Autorità di sistema portuale dello Stretto e affinché nell’area retroportuale sia estesa la Zona economica speciale (Zes)».
Il tutto dovrebbe portare positive ricadute economiche-turistiche e commerciali considerate anche le bellezze dell’area. Idea condivisa anche dal sindaco di Montebello Jonico, Maria Foti.
La Catalfamo si augurava che “la forte sinergia istituzionale possa essere il volano per la celere definizione di una iniziativa che cambierebbe radicalmente il volto di un’area dimenticata al Sud del Sud della Calabria”.
Ad ottobre del 2021 si apprende che il “trovatello” ha un padre. Il porto viene adottato. Entra, infatti, nell’autorità di sistema portuale dello stretto e di questo è soddisfatto persino il Vice Ministro Alessandro Morelli il quale ha affermato che ”La portualità, e quindi il sistema logistico del territorio, ne escono ulteriormente arricchiti”.
Un grande risultato, “raggiunto – precisava Morelli in una intervista – grazie alla collaborazione di Regione Calabria, autorità portuale, Guardia costiera e Università Mediterranea che intende realizzare, nel retroporto, un distretto di innovazione”.
Intanto il tempo passa e nulla spunta all’orizzonte. Forse è ancora presto ma sarebbe grave se il porto, ancora una volta, fosse affidato ad una balia. Ciò rappresenterebbe l’ennesima vergogna.
Vincenzo Malacrinò
Pubblicato sullo speciale di Gazzetta del Sud